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08/08/12

The Expendables 2 - La Recensione R-Rated

Fat-Nerd alla prima di The Expendables 2

C'è un famoso detto che recita "A Rambo non gli devi cagare il cazzo". 
Estrapolando quel proverbio e investendolo di nuovi significati, cosa succederebbe se nella stessa pellicola recitassero insieme Stallone, Schwarzenegger, Bruce Willis, Jason Statham, Chuck Norris, Dolph Lundgren e Jean-Claude Van Damme?
A questo quesito millenario, provò a rispondere un paio di anni fa The Expendables, opera fortemente voluta dallo stesso Stallone (da lui co-prodotta, scritta, diretta ed interpretata) e che è il manifesto del "vero" cinema d'azione, quello che ebbe il suo battesimo di fuoco negli anni '80, quello dove i protagonisti principali trascendono qualsiasi regola, per diventare qualcosa di più di semplici eroi (Nolan, prendi appunti).
Per quanto un vero uomo odi ammetterlo, The Expendables era un film con dei difetti; difetti che non staremo qui ad elencare, perché un vero uomo satura le sue ferite con la polvere da sparo e, a testa alta, si rigetta nell'azione. 
Un vero uomo quando cade si rialza, ci riprova, ed è pronto a picchiare più duro.
Ed è questo il mantra, il sottotesto, alla base di una pellicola come The Expendables 2.

The Expendables 2 si apre con una sequenza paragonabile alla mattanza finale del suo predecessore, ma ancora più epocale. Una sequenza ottimamente orchestrata, con tanta carne al fuoco (anche letteralmente, ma riportarlo è offensivo), che alterna scene di distruzione a bordo dei veicoli più disparati, ammazzamenti con armi da fuoco, ammazzamenti a mani nude, ammazzamenti con moto lanciate contro elicotteri, humour (a tratti inglese), tutti gli Expendables del primo capitolo in campo, e l'introduzione della nuova leva, il giovane Billy the Kid, cecchino letale e cocco di mamma sia di Stallone che di tutti i Mercenari. Pur essendo diretto dal redivivo Simon West, l'impronta di Stallone è ben presente, ed ecco che dopo la scorpacciata di morti ammazzati, il film vira verso scene ideate per costruire la storia in semplici passaggi, delineare i personaggi e dare loro un cuore, pulsante, passionale e, all'occorrenza, vendicativo. A differenza del precedente episodio, questa parte scivola via senza patemi, come un coltello nel costato del vostro peggior nemico. E una volta messi in moto gli eventi tutto è in crescendo - pur senza un ritmo fulminante - ed atto a soddisfare le fantasie del pubblico. 

Che EX2 sia, quindi, il film d'azione perfetto? Ancora una volta, la risposta è no. 
Le tante star in campo e la breve durata - perfettamente in linea con i grandi classici del cinema d'azione - fanno sì che, per forza di cose, alcuni personaggi rimangano ai margini, che alcuni stacchi e passaggi siano zoppicanti, e che il potenziale della pellicola non sia del tutto espresso. Per certi versi, le stesse mancanze che affliggevano il primo Expendables. A questo, va ad aggiungersi un difetto inedito che, talvolta, risulta fin troppo marcato. E cioè, il citazionismo - accompagnato da un tono squisitamente autoreferenziale - a tratti esasperato. Purtroppo, e dispiace constatarlo, personificato dal personaggio interpretato da Arnold Schwarzenegger.
Per il franchise di The Expendables, infatti, Stallone ha creato una mitologia ben precisa, dove tutti i Mercenari sono la summa dei personaggi più celebri interpretati dai rispettivi attori nel corso delle loro carriere, delle loro personalità reali e dei propri trascorsi personali. Questo avviene per Stallone, il cui Barney Ross, il leader degli Expendables, è la sintesi perfetta tra Rocky e Rambo, così come per il resto del cast, ma avviene in maniera meno efficace con il personaggio di Arnold, probabilmente a causa del poco tempo a disposizione per delinearlo su schermo. 
Non allarmatevi, Schwarzy, come Willis, ha un ruolo più esteso - e stavolta decisivo nell'economia della storia - rispetto al cameo ammirato nel primo capitolo, ma, a differenza degli altri, si esprime quasi esclusivamente citando i suoi personaggi più celebri, come se fosse un elemento metacinematografico dispensatore di morte più che un personaggio vero e proprio. Ed il gioco funziona ad intermittenza, risultando fuori registro in più di un'occasione. 
Si tratta, tuttavia, più di una mancanza - una scelta furbetta studiata per compiacere un certo tipo di pubblico - che di un difetto limitante in senso assoluto, resta il fatto che questa volta bastava davvero poco per soddisfare il pubblico hardcore, senza scendere a compromessi.

Compromessi che, fortunatamente, non sono stati ricercati con i nuovi personaggi introdotti in questo seguito: parliamo del già citato Billy the Kid e del membro - puah! - femminile che va ad unirsi ai Mercenari, l'infida cinese Maggie.
Ebbene, così come accaduto in pellicole come John Rambo, l'inserimento di un elemento esterno non è pensato, in ultima analisi, per attirare un pubblico "altro" (i gggiovani e le massaie), ma bensì per rafforzare e far spiccare il personaggio portato sullo schermo da Stallone. Pensate al manipolo di mercenari che, in linea teorica, avrebbero dovuto affiancare Rambo nella quarta iterazione della saga omonima rappresentando il "nuovo", e che si rivelarono poi una massa di schiappe, messe lì per far risaltare l'unico e solo berretto verde. Ecco, siamo da quelle parti.
Nonostante Billy the Kid e Maggie vantino una loro dignità (per Maggie, però, con quel musetto da sevizie sessuali, non mi sento di garantire), è palese come i due siano la rappresentazione stessa delle ombre che attanagliano l'animo di Barney Ross. Billy the Kid è la lealtà, il giovane mosso da un'ideale che può ancora riscattarsi; Maggie è il distacco, la perdita, la donna che viene messa da parte, per non perderla ancora. Entrambi rappresentano l'inizio e la fine del viaggio intrapreso da Barney Ross in questo sequel e, il più delle volte (specie dal punto di vista prettamente narrativo), non disturbano più di tanto. L'essere femminile si limita a far da raccordo tra le varie scene, illustrando a Barney - e allo spettatore - le strategie del nemico, il funzionamento delle varie armi, ecc. E', sostanzialmente, uno spiegone con le tette. Barney Ross - e non poteva essere altrimenti - non cede e si limita ad ammettere l'efficacia dell'oggetto femminile in questione, senza indagare più di tanto e senza concederle nulla (neanche un timido abbraccio nel finale, tiè). 
(Scusate per il piccolo spoiler, ma è un doveroso attestato di stima verso Stallone, e la sua incrollabile integrità.)
Resta il fatto che la donna dai capezzoli a mandorla ha una presenza su schermo generosa e, sebbene funzionale, è inevitabile chiedersi in certi frangenti che cazzo voglia da noi e quando si toglierà dal cazzo per far spazio a Statham, Lundgren e compagnia.


Per caso, vi siete soffermati a leggere i "difetti" di The Expendables 2?
Madornale errore.

Ma questo rappresenta, sostanzialmente, l'ultimo dei difetti "gravi" che affliggono EX2. Un colpo di striscio che può centrare l'eroe, ma che mai e poi mai può buttarlo a terra.
Perché The Expendables 2 non avrà i mezzi per superare od eguagliare le vette del genere, ma è una corazzata con un cuore, carica di testosterone, passaggi costellati di umorismo ben riuscito e scene d'azione implacabili e soddisfacenti. Con un pizzico di genuina follia, ben più marcata rispetto al suo capostipite.
Il tutto impreziosito e nobilitato dalle prestazioni convincenti dei vari interpreti. Si parte da Dolph che, pur avendo come Randy Couture e Terry Crews uno spazio limitato, riporta in vita con grande efficacia il personaggio di Gunnar Jensen, uno psicotico figlio di puttana che non sa neanche lui perché sta al mondo. Passando per Chuck Norris che riesce ad essere iconico in ogni frangente in cui appare. Il film regala al buon Chuck un ingresso in campo destinato a passare alla storia, e diverse apparizioni truculente e spassose dove poter risaltare al meglio. Il suo ruolo, andando ad estremizzare, non è poi così dissimile da quello dell'incredibile Hulk visto nel film dei Vendicatori di Joss Whedon.
Poi abbiamo Jet Li, protagonista di un violentissimo scontro corpo a corpo in solitaria contro dei soldati nemici, e di un'uscita di scena spassosissima (Jet Li è presente unicamente nel prologo del film, in cui si congeda dai Mercenari). Terry Crews e Randy Couture, come accennato, rimangono in secondo piano, ma sono presenti in tutte le scene d'azione in cui i Mercenari agiscono come squadra, e in tutte quelle dove vengono esplorati i rapporti e le dinamiche tra i vari personaggi, il più delle volte con risvolti comici ben riusciti. La qualità dei dialoghi è infatti migliore rispetto al passato (della serie) e sono numerosi i momenti in cui si ride di gusto, ricreando in maniera efficace il clima scanzonato e crudo tipico dei film d'azione anni '80/'90.
Arriviamo a Statham, che ancora una volta è il braccio destro di Stallone, e che ha un ruolo del tutto simile - sia come screen time sia nelle dinamiche - a quello della prima pellicola, senza tuttavia mostrare una reale evoluzione. Non che ve ne fosse bisogno, ma è innegabile che il buon Jason appaia in parte ridimensionato dalla presenza di icone leggendarie come Schwarzy, Bruce e Chuck.
In ogni caso, Statham ha più di un assolo marziale in cui brillare, tra cui svetta un bel corpo a corpo contro Scott Adkins, il braccio destro del villain della vicenda. Adkins appare anch'esso in poche scene (è probabilmente il più sacrificato, ma questo si era già intuito da tempo, dalla campagna promozionale del film), ma gli alterchi con Statham sono rimarchevoli, lasciando comunque contenti al termine della visione.
Schwarzy e Bruce, dicevamo. Vederli al fianco di Stallone è un'emozione infinita, ed è sicuramente uno dei grandissimi - ed esclusivi - pregi di una pellicola come EX2. Ammirare la Sacra Trinità dell'action sterminare orde di soldati nemici è un piacere cristallino, che ogni vero uomo anelava da tempo e che ora può finalmente sfogare ed interiorizzare nel proprio io, sostituendolo con quello della prima scopata.

Ma non è finita qui. C'è un'altra interpretazione che sembra brillare di luce propria. Un'altra stella dell'action - caduta come le altre alla fine degli anni '90 - è tornata, una star che meriterebbe senza alcun dubbio una seconda possibilità nel giro che conta.

Jean Vilain è Il cattivo per eccellenza

Signori e signori, Jean-Claude Van Damme, in The Expendables 2, è semplicemente epocale. 
Nei panni del cattivo della vicenda, il mefistofelico Jean Vilain, Van Damme regala una prova misurata ed intensa, fatta di piccoli gesti ed una preparazione fisica commovente.
Jean Vilain è la perfetta antitesi di Barney Ross. Come il personaggio interpretato da Sly, Jean Vilain crede nei simboli ma, sostanzialmente, non crede in nulla.
Quando i due si affrontano al termine della pellicola, nel tanto strombazzato scontro finale, non solo Barney Ross incontra una nemesi finalmente degna di questo nome e a sé speculare (scongiurando un'altra pecca del primo capitolo), ma il cinema d'azione stesso risorge dalle sue ceneri. 
L'eco di scontri mitici, come quelli visti nelle sequenze finali di film quali Commando e Cobra, ritorna a cullare la nostra fantasia, ed è fantastico vedere Sly e Van Damme colpirsi con una simile brutalità, portando i loro colpi migliori con una foga, oramai, d'altri tempi.

E infine Stallone. Squartato nel corpo, come nell'animo, è il motore del film, e regala anch'esso un'interpretazione di peso, dove dimostra di aver ritrovato la voglia di lasciarsi andare nella recitazione, veicolando con naturalezza le emozioni che animano il personaggio di Barney Ross. Lo vediamo sfottere il prossimo con spontaneità, e regalare delle imbruttite mitologiche nello scontro con JCVD, dove i nervi sono a fior di bicipite e Stallone è incazzato come non mai. Per non parlare di una perla biascicata da Sly a proposito della vita e della morte, che è semplicemente illuminante nella sua semplicità.

Nei suoi 104 minuti di durata, The Expendables 2 ci ricorda perché amiamo il cinema d'azione. Nei suoi 104 minuti di durata, The Expendables 2 riesce a superare i limiti di un budget modesto, di un divieto per i minori affibbiato all'ultimo (che si manifesta nel sangue in CGI, il quale, fortunatamente, appare ruvido e "vischioso"), e di una regia non così personale né ispirata. E lo fa senza soccombere, prendendo per le palle una trama esile ma funzionale (che riesce a montare la catarsi prima dell'attesa resa dei conti), e venendo elevato, letteralmente, dai suoi interpreti. 
Vecchie glorie ritenute sacrificabili, ma mai dimenticate.

Un film pieno di cuore. Imperfetto ma letale. Come un labbro storto.
Un film a cui voglio già un bene dell'anima e a cui auguro un sincero successo al botteghino.

Perché questi eroi, i nostri eroi, questa volta se lo meritano come non mai.



L'illustrazione di Fat-Nerd nei panni di Barney Ross è opera di Carlo Alberto Fiaschi e Walter Baiamonte.


29/03/12

Ninja Gaiden 3 - Recensione

"Steel on Bone of my ass!!"

Giorni fa, mi sono regalato una passeggiata di salute. Aperitivo da Burger King, una breve capatina in una fumetteria concorrente, per spiare i prezzi e spiegazzare qualche variant cover (so cosa pensate: è brutale prendersela con dei fumetti innocenti ma, in questo businness, io amo chiamarli danni collaterali), per poi concludere la mia gita fuori porta in un negozio di videogiochi. Rifornirsi in un negozio fisico nell'era digitale? Yep, sono un inguaribile romantico. Specie da quando Hank Moody mi è apparso in sogno dicendomi: "Amazon è per i pavidi, per coloro che non amano sedurre le loro prede, prima di condurle nel disc tray della console".

Veniamo al dunque: una volta entrato nel negozio, non ho potuto non notare una schiera di ninja, tutti in processione verso il bancone. Alcuni si fustigavano sferrando colpi di nunchaku, altri stringevano qualcosa in mano, un oggetto mistico e indefinito che perdeva sangue copiosamente. 
Mi sono avvicinato alle spalle di un ninja, e gli ho strappato l'oggetto dalle mani. 
Era una copia di Ninja Gaiden 3, la stessa che, dopo una veloce permuta, risiede adesso nella mia amorevole Xbox 360. Be', che dire. Dovrei essere eccitato come Jabba in un strip club all'idea di rencensire il terzo capitolo di una delle saghe action più amate di sempre, celebrata in tutto il globo per il suo sistema di combattimento sopraffino ed il tasso di sfida d'altri tempi. Ma non lo sono. 
Perché Ninja Gaide 3 è un fottuto insulto.

Rivalità a fil di katana
Il cambio al vertice nelle gerarchie interne del Team Ninja, da Tomonobu Itagaki all'infido Yosuke Hayashi, ha inflitto un durissimo colpo a questo glorioso brand. E' risaputo che Hayashi avesse un pessimo rapporto con Itagaki che, ricordiamaolo, è il creatore del franchise di Dead or Alive e del capitolo che nel 2004 rilanciò la serie di Ninja Gaiden (ferma alla generazione dei 16-bit), portandola a delle vette di eccellenza assoluta. Hayashi ha sempre criticato molte delle scelte operate da Itagaki (la ricerca, nelle sue opere, della violenza esasperata e di un'ammiccante tensione erotica, le storie volutamente scarne e funzionali all'azione), e le divergenze creative tra i due non sono mai state un segreto. Qualche anno fa, Itagaki, per degli spiacevoli alterchi con la casa madre, la Tecmo, fu costretto a lasciare il Team Ninja e le sue amate creature. Da allora, vaga in esilio per il giappone in cerca di vendett... ahem, no, non è questa la nostra storia... da allora, Hayashi il meschino è a capo del Team Ninja, e ha deciso di prendersi la rivincita nei confronti dell'odiato e temuto rivale.

Hayashi sviscerato
Per comprendere l'entità del danno causato da Hayashi alla serie di Ninja Gaiden, bisogna partire dalle assurde e strampalate idee alla base di questo terzo capitolo. Una storia invasiva, che nelle intezioni di Hayashi doveva rendere il gioco più adulto, ma che non riesce a discostarsi dai toni da b-movie tipici dalla serie, intaccandone però lo smalto e l'asciuttezza, e un gameplay completamente stravolto. La trama, mal narrata, pretenziosa e con personaggi insulsi, il cui unico pregio è il saper suscitare del sano umorismo involontario, vede il ninja Ryu Hayabusa (storico protagonista della serie) colpito da una maledizione slava (!), scagliata da un'organizzazione terroristica che, per poter distruggere il mondo, deve far provare a Ryu tutto il dolore inflitto durante la sua turpe esistenza. Quando si dice l'invidia. Ovviamente (come poteva essere altrimenti) il giocatore prenderà il controllo di Ryu, facendo a fettine infinite schiere di nemici nel corso dei (pochi) livelli che compgono l'avventura. Entrambe le linee tracciate, storia più strutturata e gameplay semplificato, sono state volutamente intraprese da Hayashi e i suoi tirapiedi per abbracciare un bacino di utenti più casual. Paradossalmente, le modifiche apportate alla struttura di gioco tipica della serie non solo precludono la buona riuscita del prodotto, ma mettono il giocatore diversamente abile davanti a situazioni inutilmente frustanti, lì dove, nei capitoli precedenti, era unicamente la destrezza del giocatore a fare la differenza tra il game over e il proseguire dell'azione. In NG3, l'intero impianto ludico ruota attorno all'unica vera novità introdotta dal bieco Hayashi: la famigerata tecnica d'attacco Steel on Bone, pensata per restituire la sensazione di affondare la lama di una katana attraverso le carni, spezzando le ossa e squarciando gli organi interni della vittima. All'atto pratico, questa simpatica trovata si traduce con la telecamera che stringe sull'azione, immortalando la morte dell'avversario in una truculenta finisher al rallentatore (per la verità, non così violenta, visto che il tutto si limiterà ad una spruzzata di sangue, quando i colpi inflitti suggeriscono ben altro). La roba divertente è la dinamica con cui vengono attivati i colpi Steel on Bone. Questa, semplicemente, non esiste. Al giocatore, per tutta la durata del gioco, verrà unicamente richiesto di martellare i due tasti d'attacco a caso e, a totale discrezione della CPU, alcuni dei colpi sferrati si tradurrano magicamente in attacchi Steel on Bone affettatutto. Da qui in poi, il team di sviluppo ha agito unicamente per sottrazione eliminando, uno ad uno, i tratti distintivi della saga. Tutti i tagli operati e le scelte effettuate hanno reso il gioco ripetitivo, inutilmente caotico e frustante. Un action claudicante ed amorfo dove il giocatore non ha il minimo controllo sul fluire dell'azione e lo svolgersi degli scontri, indubbiamente potenzialmente spettacolari ed affascinanti per un pubblico raffinato e contemplativo, ma totalmente privi di equilibrio e ritmo. 

NG3 non solo è un gioco pessimo se paragonato agli illustri predecessori, ma lo è in relazione alla media del genere. E' un gioco insufficente su più livelli, che non mancherà di insoddisfare sia il giocatore duro e puro sia quello meno esigente e sbarazzino. Un simile tonfo, per un brand storico, non si registrava nell'industria dall'uscita di Sonic The Hedgehog nel 2006. Il gioco del porcospino blu, però, era afflitto da bug indicibili che ne funestavano un'esperienza di gioco sulla carta potenzialmente appagante. In NG3, invece, sono proprio le basi dell'impalcatura ludica ad essere marcie, divorate da una moltitudine di tarle voraci, tutte con la stessa faccia deforme di Yosuke Hayashi.

Ripongo il disco di gioco nella sua confenzione. Continua a sanguinare. E' stato colpito da una maledizione. Una maledizione slava. Ma l'omuncolo che l'ha scagliata non l'avrà vinta.

Passerò il gioco e la sua maledizione ad un'altro giocatore. Lui vivrà l'orrore sulla sua pelle e, a sua volta, cederà il gioco a qualcun'altro. Finché la maledizione non si sarà estinta ed avrà perso i suoi influssi malefici. 
Uniti, nerd di tutto il mondo, daremo il giusto tributo al clan Hayabusa e al suo amorevole padre putativo. 

Perché un ninja può sanguinare a frotte, perire in combattimento, ma la sua leggenda... quella continuerà a rieccheggiare nei secoli.

Sì, Tomonobu Itagaki, quell'ultimo affondo, mortale e definitivo, l'ho inferto anche per te.

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